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Come nasce una commedia?

Secondo alcuni modernissimi autori, una commedia dovrebbe fare ridere. E basta!

Io preferisco, sicuramente, che lasci qualcosa agli spettatori, far si che abbiano un pensiero in testa nel tragitto verso casa,
ù si ricordino qualche aneddoto, certo, ma soprattutto che abbiano potuto riflettere.

Non è colpa mia, giuro, e vi chiedo scusa (e soprattutto chiedo scusa ai miei amici di allora)
se a 11 anni mentre tutti pensavano solo a giocare a pallone, io frequentavo il mio primo corso di drammaturgia.

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Mentre gli altri giocavano con le figurine, io giocavo a “mettere in situazione” i personaggi,
a creare un “conflitto” e il suo “superamento”, a individuare “protagonista”, “antagonista” e “personaggi di rottura”
e non ho mai smesso di farlo.

E a 11 anni, Nino Gemelli mi fece scrivere la prima commedia: forse non tutti sanno che, quando si scrive, non si comincia MAI dalle battute.
Quelle vengono alla fine, dopo che l’autore conosce tutto, ma veramente tutto, dei suoi personaggi, anche quello che possono avere in tasca.
Quindi non era proprio una commedia ma un “canovaccio”, la base su cui poggia l’intera struttura della commedia che verrà.

Io ero un lettore famelico di “Topolino”,

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ed ero rimasto affascinato da una storia che riguardava un vaso dentro il quale veniva conservata una piccola somma,
con cui Topolino e Minnie avrebbero fatto una vacanza.
Poi questo vaso era perduto, poi ritrovato ma senza l’importo…
Si, una piccola parte di “70.000 buoni motivi” riprende proprio il canovaccio di questa commedia scritta a 11 anni.
Ma non era ancora arrivata la scintilla.
Poi, un pomeriggio dell’estate 2002, ero in Emilia Romagna, è successo!
Così come avviene nei film, mi trovavo in una mansarda, con un vecchio televisore, due letti, un tavolo rotondo… tanti fogli e una penna. Iniziai a scrivere solo l’idea:

un uomo ha il sogno di diventare un attore professionista. Tenta di fare il provino per la prestigiosa Accademia Nazionale d’arte Drammatica Silvio D’Amico, ma il provino è per chi ha meno di 25 anni d’età e lui ne ha 43.

Scrissi solo questo, e poi cominciai a parlarne. Prima con le persone più vicine, poi con altri, poi con chiunque mi capitasse.
Mi venne in mente, allora, che quest’uomo che si chiamava Massimo, non si sarebbe arreso alla prima occasione, ma avrebbe cercato il trucco, l’imbroglio, la possibilità di accedere comunque alle selezioni, fingendo di avere 25 anni.
E stilai il canovaccio, per 4 attori: una moglie innamorata ed energica, un fratello dalla rima baciata ed elegantissimo, un personal trainer sui generis.

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E in particolare lui, l’uomo con il cappello, un ostinato cappello che il protagonista non vuole togliere mai, aneddoto che ho preso da esperienze reali, come quasi sempre mi accade.
Scoprii che la parte più bella non sarebbe stata finire la commedia, ma cesellare le parole, levigarle fino a modificare ogni singola vocale perché suonasse bene con il resto.
Era il 2002, stava nascendo la mia prima commedia, “Giù il cappello!”… ero già molto avanti se pensi che in un giorno scrissi ben 6 pagine, 2 pagine per ogni atto della commedia.

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ma impiegai tre anni (3 ANNI!) per portarla a termine e la conclusi solo perché nel frattempo, spinto dalle persone che mi volevano e mi vogliono tuttora bene, stava per nascere il Teatro Incanto, stavamo per creare un piccolo teatro dall’idea di un ragazzo in mansarda.

Giù il cappello 12.03.2010 095 copia 2

Oggi, quando l’ispirazione è stata in grado di farmi riflettere su una commedia per tanto tempo e, finalmente prendo la penna in mano (le commedie le scrivo sempre a mano, le devo sudare, già dalla scrittura!), quando inizio a scrivere dicevo, riesco a terminare una commedia in due buone settimane di lavoro, possibilmente in Sila, dove si scrive meravigliosamente.

Tra pochi giorni, scoprirai la storia di ViVa Catanzaro, la commedia che amo di più… con qualche nota di tecnica che non fa mai male.
A presto.

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